Agli inizi degli anni sessanta iniziai a collaborare come ortodontotecnico nel reparto Ortognatodontico dell’Istituto Clinico per le Malattie della Bocca “Arturo Beretta” in Via San Vitale 59, a Bologna, del quale era direttore il Prof. Giorgio Maj, presidente della società Ortodontica Europea, mio Mentor.
Gran conoscitore della Scuola Costituzionalistica Italiana ed allievo del Prof. Edmondo Muzj, mio Mentor.
Giorgio Maj
Il Prof. Maj stava in quel periodo dedicandosi ad un lavoro di ricerca innovativa nell’ambito della specialità ortognatodontica. In particolare, alla luce degli studi compiuti nel frattempo sia in Europa che negli Stati Uniti, Maj stava rivedendo i tradizionali indirizzi diagnostici, alla base dei quali rimangono le cosiddette “regole di normalità” elaborate tra il 1920 ed il 1935.
La grande affluenza di pazienti all’interno del reparto, in alcuni periodi è stata calcolata intorno ai cento pazienti al giorno, consentiva l’osservazione di una varietà di casi eccezionale, sia in termini numerici sia qualitativi.
Il problema delle dismorfosi in senso verticale della parte inferiore della faccia permaneva e la domanda che mi ponevo era la stessa: quale è la normalità individuale? A che ci serve l’arte?
Il Maj, allievo del Muzj, interruppe i rapporti con il suo maestro negli anni cinquanta. Non ho mai saputo quale fosse stato il motivo.
So solo che quando il Prof. Maj gli scriveva, il Prof. Muzj non gli rispondeva. Così quando il Maj aveva bisogno di chiarimenti dal Muzj, mi dettava le domande ed io le inviavo personalmente al Muzj che, con grande puntualità, mi rispondeva e spesso si complimentava con me per le domande “intelligenti e ben formulate”. Consegnavo al Maj la corrispondenza ed una volta mi disse amareggiato: “Questi complimenti e belle parole a me il Muzj non le ha mai dette” e confidenzialmente: “Edmondo Muzj resta nel mio ricordo ai confini del mito e gli anni che trascorsi accanto a lui sono stati i più esaltanti della mia vita. Ma solo oggi, che l’esperienza mi ha insegnato a discernere ciò che veramente vale da ciò che è transitorio e fittizio, sono in grado di apprezzare appieno la sua profondità di intuizione e la grandezza della sua opera.
Abruzzese, di famiglia aristocratica, lo spirito della sua terra e l’educazione assorbita imprimevano alla sua personalità caratteri indelebili e apparentemente contraddittori. L’impassibilità e la rigidità dell’atteggiamento, la ritrosia a rivelare i suoi sentimenti facevano scudo a un interno ardore che si sprigionava a volte in fiammate violente, tosto represse”.
“Professore”, cercando di tiragli su il morale, “cambi l’intestazione della lettera, faccia una riga sul mio nome e metta il suo; le domande le ha formulate Lei ed i complimenti sono i Suoi!”. Il Prof. Maj scuotendo la testa cambiava espressione trasformando la sua tristezza quasi in un sorriso.
Seguendo l’esempio del Prof. Maj, quando mi trovavo di fronte a dilemmi o dubbi, mi preparavo spiritualmente ed andavo a Roma dal Prof. Edmondo Muzj.
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