Fissato l’appuntamento, carico di domande, il venerdì alle ore dieci, in Viale Parioli 40, ero puntualissimo a casa del Prof. Edmondo Muzj.
Di figura sottile, diritta, impeccabile nel vestire, con gli occhi glaciali, fissi nelle pupille dell’interlocutore, quasi a stabilire con lui una distanza invalicabile, Muzj ha sempre avvertito una istintiva repulsione per tutto ciò che è volgare e rozzo. L’altrui eccessiva cordialità, o confidenza, lo metteva a disagio, come per una sorta di prevaricazione o attentato al suo equilibrio formale.
Questi tratti che caratterizzano la sua personalità sono imprescindibili nella comprensione della matrice della sua idea scientifica.
Edmondo Muzj
Terminati i convenevoli, seduti davanti ad una finestra illuminati dal sole gli dissi: “Professore, ho atteso con molta ansia questo giorno perché volevo domandarle un chiarimento su quanto riguarda….”.
Gli occhi chiari, ma acuti ed immobili, fissarono i miei, ed ancor prima che potessi finire la domanda, mi interruppe dicendo: ”Eccoci di nuovo nella confusione della terminologia, cominciamo con l’intenderci, mi dica piuttosto che differenza c’è tra la media aritmetica e la media biometrica?” Stupito dalla domanda inaspettata, pensai a qualche refuso nella corrispondenza, nel porgli la domanda, e così, all’improvviso, mi trovai ragazzino nei banchi di scuola. Con voce bassa iniziai con la definizione di media aritmetica: “La media aritmetica….di un insieme di valori è la somma di tutti questi valori, divisa per il numero degli elementi costituenti l’insieme”. Presi fiato e: “La media biometrica…la media biometrica… la biometria si dedica allo studio dei fenomeni della vita dal punto di vista quantitativo…”. Il Prof. Muzj, guardandomi negli occhi, disse: “Pantaleoni è inutile che cerchi di arrampicarsi sugli specchi. La differenza tra la media aritmetica e la media biometrica non la può sapere, perché non l’ho mai detta a nessuno!”
Con calma, quasi prendendomi per mano, il Prof. Muzj iniziò a spiegarmi: “Supponiamo di voler sapere quale è la normale altezza dei ragazzi che frequentano la quinta elementare nel Lazio, cioè dei ragazzi di undici anni.Utilizziamo per questa ricerca la media aritmetica. Iniziamo a misurare singolarmente le altezze degli allievi”.
I termini scelti ed utilizzati con estrema chiarezza non lasciavano spazio a divagazioni. Muzj era attento per accertarsi che lo seguissi e, così, di tanto in tanto, per verificare la mia attenzione, mi poneva domande.
Il tempo scorre troppo velocemente e non sembrava sufficiente per saziare la mia sete di sapere.
Terminata la spiegazione, cambiando tono di voce: “Mi ha compreso? Ha compreso il significato?” Il sole non illuminava più la nostra stanza.
Avevo compreso, ma non era quello che cercavo, ma lui sapeva che ciò che mi aveva spiegato non lo sapevo e gradatamente gli chiesi: “Che ne pensa del predominio dell’arte in ortognatodonzia?” Il Prof. Muzj si alzò, prese una cartella fra tante altre e mi invitò in un’altra sala, facendomi sedere di fronte a lui, dove il sole ci illuminava nuovamente.
Silenziosamente la cameriera ci portò il solito caffè, come di consuetudine, per me, mentre per il Professore tre cucchiaini di zucchero e nove gocce di cognac.
Inserì un disco di Rachmaninov ed accesa una sigaretta, si sedette su di una sedia leggerissima. Il professore aveva più di 90 anni.
Il Muzj incominciò a parlarmi:
“Da documenti tramandatici, possiamo dedurre che gli antichi artisti greci e romani presupponevano l’esistenza di una legge seguita dalla natura per coordinare le parti costituenti il corpo umano. Essi non conoscevano tale legge – che è divenuta nota ora, oltre venti secoli più tardi – ma, profondamente convinti che alla base ci siano le proporzioni intercorrenti tra gli organi, di queste proporzioni elette a sistema facevano canoni destinati ad esprimere l’armonia, ricavando dalle dimensioni e dalla forma di uno di essi le giuste dimensioni e forma di altri.
Lo sa cos’è un canone?”
Risposi: “E’ il termine greco che vuole significare canna quindi regola”.
“Il canone di proporzione è noto anche agli Egizi, ma è codificato da Policleto (480 a.C.). In esso, secondo Galeno, il modulo è rappresentato dalla lunghezza di un dito (medio?), la quale, moltiplicata per multipli di quattro, indica la lunghezza dei vari segmenti corporei fino a quella dell’intero organismo. Con Vitruvio (ultimo cinquantennio a.C.), il canone diviene anche geometrico; si ritiene che il corpo umano, allorché le braccia siano aperte orizzontalmente, abbia una larghezza pari all’altezza e possa essere inscritto in un quadrato. Il sistema facciale incomincia ad essere contemplato nella direzione verticale ed è diviso, per la prima volta, nei tre segmenti della fronte, del naso e dei mascellari (nda divisione ternaria)”.
Il giudizio delle peculiarità somatotipiche del volto resta dunque affidato al sentimento estetico di armonia, connaturato nell’uomo. Nasce così un modello facciale immaginario, corredato di perfezionamenti artistici e di raffinati caratteri fisionomici.
Enfasi di bellezza dunque, da attribuire in gran parte all’ispirazione degli scultori e pittori a raffigurare personaggi idealizzati, arricchiti di forme esteriori maggiormente vicine ad una supposta perfezione, da riprodurre nelle loro opere destinate, il più spesso, a destare sensazioni di euritmia che ben si addicono a divinità.
A questo modello di volto artistico immaginario si fa ricorso durante tutta l’antichità classica; ad esso si continua a ricorrere durante l’era cristiana, ogni volta che si persegue la perfezione estetica in opere plastiche o pittoriche.
Col finire dell’influenza pagana e col fiorire delle arti nell’epoca rinascimentale, la valutazione estetica prospettata subisce un riesame.
Leon Battista Alberti (1404-1472) sollecita l’uso della statistica nella ricerca della forma perfetta. Vincenzo Danti (1530-1576) segnala che il corpo dal principio alla fine è mutevole e non può essere sottoposto a misurazioni. Leonardo da Vinci (1452-1519) precisa che nel corpo esiste proporzione ove esso sia inserito in un cerchio, a braccia ed a gambe aperte e accennandone una vaga considerazione antero-posteriore, col tratteggiare una linea lungo gli organi del profilo (linea di armonia). Infine comincia ad accendere il dubbio sulla validità dei canoni, adducendo che nei bambini vi sono organi che crescono più rapidamente di altri.
E’ da notare il rivolgimento di idee seguito al comparire di divergenze riguardanti la variabilità degli organi. Il canone di proporzione viene dunque sottoposto ad un approfondimento.
“Pantaleoni!” Il Prof. Muzj si alzò ed incominciò a camminare, poi fermandosi: “Non può non destare sorpresa che quattro secoli addietro vengano svolte le stesse discussioni che ancor oggi agitano il campo della ortognatodonzia”.
“Professore, in qual modo il canone di proporzione può dare un contributo all’ortopedia oro-facciale?”
Il Professore si sedette e riprese a parlarmi:
“Prima del 1890, il cultore di questa branca medica non possiede cognizioni anatomiche idonee a consentirgli una sistematica analisi dell’apparato affidato alle sue cure. Procedendo egli all’ispezione del caso, è colpito da quadri clinici nei quali alterazioni di parti facciali esterne e delle arcate dentali sono coinvolte nel formare dismorfosi più o meno estese”.
Per stabilire se l’operazione del riassetto interdentale debba essere iniziata ventralmente dagli incisivi centrali, dorsalmente dai molari oppure da un punto intermedio, il clinico che si prefigge di correggere siffatte malformazioni, non può ricorrere ad alcun metro. Non esiste un canone che nella norma lateralis possa facilitare l’analisi antero-posteriore del volto o parzialmente dell’apparato dentale. Esiste però il canone. accennato sopra, di altezza dei tre segmenti: frontale, nasale e mascellare. Esso trova occasione di intervenire nell’esame di quelle malformazioni cui partecipano i succitati aumenti o diminuzioni di altezza. Questo canone di altezza non è determinante, anche se acquista importanza dall’essere l’unico conoscimento metrico esistente, oltre a godere la considerazione degli artisti.
“Quanto tempo sia durato tale vanto del canone di proporzione non è facile saperlo, dal momento che di questo si ha ancora oggi occasione di sentire far cenni presumibilmente accademici. Possiamo affermare che il suo declino inizi col sopravvenire del positivismo e con la sistematica conoscenza dell’anatomia degli organi facciali”.
Pensai alla ricerca eseguita da Lui e Rissodorfer, dove nel popolo italiano la terza zona della faccia, dallo gnation alla base del naso, è in generale più alta della seconda zona, dalla base del naso alla glabella.
Pensai anche: “Ma di quanto la parte inferiore della faccia negli italiani è più alta? Che differenza esiste tra il popolo italiano e il popolo francese, lo spagnolo, il tedesco e tutti gli Europoidi?”
Se gli artisti utilizzano i loro canoni è perché li hanno trovati; li hanno trovati perché li hanno cercati.
Perché i medici non hanno un loro canone di proporzionalità per determinare la normalità individuale della parte inferiore della faccia?
Perché non l’hanno cercato: dovevo, dunque, trovare un canone.
Certo che nel campo artistico, un canone è valido solo per un determinato gruppo etnico, (relativo ai caratteri che individuano un popolo da un punto di vista statistico).
Non tutti i popoli europei, per esempio, potrebbero riconoscere un unico modello ideale corporeo.
I popoli del Nord Europa preferiscono certamente la Venere di Cranach alle piccole e rotonde Afroditi di Grecia e d’Italia.
Ogni popolo come crea i suoi Dei, così crea il proprio ideale estetico d’Uomo.
Ogni razza ha nella propria mente o nel sogno, più che nella realtà vivente, il suo Apollo del Belvedere e la sua Venere di Milo.
Leonardo utilizza la lunghezza della mano per verificare l’altezza della faccia, ma la sua trattazione riesce poco chiara, perché per prendere le sue misure, Leonardo si serve di punti variabili nei singoli individui, come la radice dei capelli; e spesso indica i punti di misura con lettere che non sono segnate nelle corrispondenti figure illustrative; perché si serve non di rado di vari termini per indicare la stessa cosa (ad esempio, fine di sotto del naso, principio del naso, nascimento di sotto del naso, ecc.).
Trattando della stessa materia in diversi tempi e su differenti fogli, arriva spesso a conclusioni divergenti e cade in contraddizione. Per esempio nel foglio 5 r. del Q A VI afferma che la testa e il piede sono della stessa lunghezza, mentre nel foglio 11 V dice che la testa è più corta del piede. Nel foglio 10 r. dice che la distanza tra i punti estremi delle spalle è uguale ad ¼ della lunghezza del corpo, mentre nel foglio 6 r. dice che essa è uguale a ¼ della distanza della pianta del piede al sottosetto nasale.
Nel foglio 12 r. dice che la mano ha la stessa lunghezza della testa, mentre nel foglio 9 r. dice che ha la stessa lunghezza del viso. Gli errori e le contraddizione potrebbero continuare.
E’ chiaro che queste contraddizioni sono dovute alle diversità individuali dei cadaveri da lui esaminati.
Nel reparto ortognatodontico dell’Istituto Clinico per le Malattie della Bocca “Arturo Beretta”, grazie alla grande affluenza di pazienti, dove il Prof. Giorgio Maj era estremamente scrupoloso e preciso nel classificare tutto il materiale e la documentazione dei casi clinici, a partire dalle fotografie, radiografie e modelli da museo o da studio, incominciai ad osservare le mani e la loro morfologia di tutti i pazienti che potevo vedere. Intuii che “le mani mi avrebbero dato una mano”. Iniziai con il fare appoggiare la mano estesa a dita serrate con il dito indice sotto al naso, contro la bocca, facendo tenere al paziente i denti serrati e mi resi conto che in molti casi, la parte distale del dito mignolo, si trovava allo stesso livello della base del mento, ma in tanti altri soggetti, o la mano copriva completamente il mento ed in altri la mano nascondeva solo una parte di esso.
Perché?
E’ pur vero che esistono malocclusioni che non creano disarmonia al volto e malocclusioni che creano disarmonia al volto. Così nei pazienti in cui la mano copriva perfettamente la parte inferiore della faccia e la parte distale del dito mignolo, si trovava allo stesso livello della base del mento, erano pure pazienti, ma pazienti portatori di malocclusioni che non creano disarmonia al volto. Pensai a Leonardo e emerse l’idea che non si può fare una ricerca di normalità su pazienti portatori di dismorfosi con malocclusioni!
Se Leonardo, anziché ricercare i suoi canoni su diversità individuali portatori o no di dismorfosi sui cadaveri, trascurando la rigidità cadaverica, avesse scelto individui vivi, sani, normali, euritmici, nelle varie età certamente avrebbe lavorato meno e sarebbe stato più chiaro per noi.
La verifica mano volto doveva essere condotta su soggetti normali, euritmici, normocclusi e nelle varie età, questi soggetti certamente non potevo trovarli nell’Istituto Clinico per le Malattie della Bocca.
Dovevo cercare individui che non avevano bisogno di noi, con queste caratteristiche, euritmici nelle varie età, nell’ambito familiare fra amici e conoscenti.
Come condurre la ricerca?
- Boldrini nel 1927 afferma: “Due organi dello stesso individuo…si dicono correlati quando, scegliendo una serie del primo organo di grandezza nota, si trova che la media della grandezza del secondo organo è una funzione della grandezza del primo organo”.
Così gli organi che tendono a mutare sono coordinati in modo tale che, pur variando, restano proporzionati tra loro, nello stato tipico normale.
Bisogna tener presente che la distanza dal sottonasale alla base del mento è una distanza tra due strutture scheletrico-dentali separate, ma complementari: il mascellare superiore e la mandibola.
Le arcate dentali sono coordinate fra loro mediante l’articolazione temporo-mandibolare.
Dovevo quindi trovare i punti anatomici antropologici della mano e del volto, il metodo per ricavarli e fissarli per poter passare alle misurazioni; descrivere tutti i passaggi in modo tale che anche altri potessero trovare con esattezza e scientificità i punti di repere prima di iniziare le misurazioni.
Iniziai con lo studio della morfologia tegumentale della mano. Nell’uomo, la mano raccoglie in sé le note della massima perfezione, in quanto con il suo congegno soddisfa le variatissime funzioni che caratterizzano l’attività umana.
Osservando la morfologia delle dita, si notano sul lato palmare, lungo le dita, le pieghe di flessione che corrispondono alle relative articolazioni interfalangee.
La piega di flessione tra la falange prossimale e la falange mediale del II° dito corrisponde in senso trasversale perpendicolarmente all’asse longitudinale della mano, alla piega di flessione tra la falange mediale e la falange distale del 5° dito.
Presi questa distanza, chiamando Pf2 il punto estremo superiore sull’indice e Pf5 il punto estremo inferiore sul mignolo, a palmo aperto e con le dita serrate e tese, tale distanza verrà ad essere il canone di misurazione del volto: canone del Parametro di Pantaleoni.
Lavori furono svolti sull’affidabilità della mano: “Rapporto antropometrico lunghezza e larghezza della mano Indice di A. Falconi e N. Pantaleoni”
Lo scopo di questa verifica era quello di stabilire se esistesse ed in quale misura, un rapporto dimensionale tra la lunghezza e la larghezza della mano.
Anche se esiste equanime dimensionalità tra lunghezza del dito anulare e la distanza tra le pieghe interfalangee del 2° dito e 5° dito della mano che meno lavora, cioè la distanza tra Pf2-Pf5 del Parametro di Pantaleoni.
L’equanime dimensionalità è risultata non affidabile nei soggetti di razza non europoide o caucasiana e nei soggetti a fine crescita con altezza inferiore a m 1,50 ed al di sopra di m 1,90.
Tale verifica ci porta tuttora l’attenzione sulla osservazione della mano che non abbia difformità prima di utilizzarla come canone nel Parametro di Pantaleoni.
Trovati i punti di repere del canone del Parametro di Pantaleoni sono stati così definiti:
- Pf2 = Estremo radiale della piega cutanea tra la falange del secondo dito e Ia falange dello stesso dito.
- Pf5 = Estremo ulneare della piega cutanea tra Ia falange del V dito.
Passai allo studio dei punti di repere anatomici tegumentali della parte inferiore della faccia.
Mentre il punto sottonasale (Sn), punto di incontro della base del naso con il labbro superiore, è un punto cutaneo di facile rilevazione sul soggetto, la localizzazione topografica del punto Gnation (Gn) è di più difficile determinazione, pertanto la stessa si può presentare a differenti interpretazioni.
Prova ne è il fatto che lo stesso medico, operando più misurazioni della distanza verticale Sn-Gn su di uno stesso paziente nell’ambito della stessa giornata, dando come postulato una identica o variata localizzazione dell’ordine del decimo di millimetro del punto Sn, può rilevare scostamenti di Sn-Gn nell’ordine del millimetro.
Per meglio focalizzare il punto Gnation occorreva tenere in considerazione le definizioni che venivano date dello stesso da alcuni autorevoli autori: “Punto più basso e più anteriore del mento”, Muzj.
“E’ il punto più inferiore del piano mediano sul bordo inferiore del mento”, Tweed.
“E’ il punto più basso del margine inferiore della mandibola su piano sagittale mediano”, Maj.[5]
Lo Gnation cutaneo o tegumentale risultava essere indispensabile a tutti coloro che nella clinica ortognatodontica, nella chirurgia maxillo-facciale, nella chirurgia plastica e nella protesistica utilizzavano il metodo antropometrico oro-facciale di Muzj ed il Parametro di Pantaleoni.
Una volta trovato il punto Gn tegumentale, si poteva diagnosticare la dismorfosi e stabilire con esattezza dove tale punto avrebbe dovuto trovarsi per raggiungere la norma dopo la terapia e quindi ottenere un’armonia facciale individuale.
Il Muzj fissava Gn tegumentale, ricavato dal tracciato scheletrico, proiettandolo geometricamente sulla parte cutanea con l’ausilio del dispositivo che determinava i punti antropologici, architetturali, Frontale e Gnation.
- Muzj dice: “…Ad un solco sottolabiale di varia profondità si abbina spesso un mento la cui protuberanza è talmente marcata da doverne tener conto nella determinazione del punto antropologico Gnation.
……E’ chiaro che, se il carattere fisionomico integrativo supera un valore normale limite, provoca rottura di correlazione ed assume significato di dismorfosi”.
- Carlini, A. Falconi, N. Pantaleoni e C. Verdi lo ricavarono clinicamente considerando che lo Gnation cutaneo non era altro che la proiezione sul tegumento del Gn scheletrico e poteva essere individuato con la palpazione della cute che lo ricopriva nella zona dove la massa del muscolo mentale ha il suo bordo inferiore. Posando un dito in questa zona lungo la linea mediana e facendolo scorrere lungo la cute sulla sinfisi mandibolare si cerca la sensazione del punto di massima curvatura dell’osso stesso e quindi si individua con buona precisione il punto localizzato dal polpastrello dell’operatore.
Questo è il punto Gnation, riconoscendo comunque tutti i limiti che questo comporta.
Benagiano commentava: “Izard ha fatto notare che il punto Gn è quanto mai instabile, essendo situato in una zona che può essere profondamente modificata da turbe di sviluppo. Prendere questo come punto di riferimento, significa esporsi a commettere errori diagnostici”.
Pertanto trovare il punto Gn tegumentale nei soggetti affetti da deformazione facciale in senso antero-posteriore e verticale, è estremamente difficile. Ulteriori difficoltà si potevano riscontrare per le varianti integrative che si aggiungevano a caratterizzare la fisionomia.
Data l’importanza del punto tegumentale Gnation in ortognatodonzia, in chirurgia maxillo-facciale e plastica ed in protesistica, viste le difficoltà di reperire tale punto, gli Autori indirizzano la ricerca per ricavare il Gnc graficamente sul profilo, facendo una costruzione geometrica su di una immagine fotografica e teleradiografica.
Congiungendo i punti tegumentali Ch (Chelion) e Jo (punto Ioideo) si ottiene una linea; tracciando una parallela che tocchi il punto più lontano da essa posto sul mento, si determina così il punto Gnc.
Questo metodo è esteso nei soggetti nelle varie età, nella norma individuale e nei portatori di dismorfosi facciali in senso antero-posteriore e verticale.
Vengono inoltre descritti i metodi e i limiti.
Selezionati 48 soggetti euritmici e normocclusi tra 8 e 25 anni, fissati i punti antropologici su Sn e Gn e su Pf2 e Pf5, si è proceduto alle misurazioni delle rispettive distanze fra Sn e Gn e fra Pf2 e Pf5, mediante un calibro ricavando i singoli valori.
“…La scienza antropometrica ci fa conoscere che se due caratteri somatotipici danno luogo a due poligoni di frequenza le cui modalità di distribuzione coincidono, tra essi esiste una correlazione o proporzione” (E. Muzj).
La sperimentazione biometrica dimostra il rapporto dimensionale esistente tra i grafici che evidenziano la distanza tra Pf2-Pf5 e tra Sn-Gnc in massima intercuspidazione in 48 soggetti in normocclusione da 8 a 25 anni.
L’Antropometria: un viaggio dall’odontoiatria all’arte con il prof. Nerio Pantaleoni
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