Questa mattina mi sono svegliato abbastanza infastidito. Ho fatto un sogno. Probabilmente i meandri della mia mente hanno deciso di farmi ripensare a questo mondo. Avrà capito che sono l’unico che può fare qualcosa, se solo fossi andato incontro alla verità.
Come un fantasma del futuro che ti prende di notte e ti fa fare un giro in quello che sarà il mondo tra centinaia di anni, facendoti aprire gli occhi e facendoti domandare: “È così che voglio che finisca? Solo per certe persone che, quando potevano, al bivio, non hanno intrapreso la strada che ci avrebbe portati tutti a un futuro migliore. Perché avari e egocentrici?” Pensandoci bene, anche in passato si sono susseguite guerre e invasioni senza che i loro fautori pensassero minimamente alle possibili conseguenze. Non prossime, un po’ più future.
Io sono un eroe per questa città e, in quanto tale, combatto i cattivi e salvo le persone da possibili incidenti che il futuro ha in serbo. Questo cattivo, oggi, non è una persona. O meglio, non solo una.
Possiamo dire che sono tanti, che hanno sete di fama e soldi, che tengono allo scuro molti altri, portandoli inconsciamente dalla loro parte. Quella sbagliata. E come so che è sbagliata? Beh, come ho già detto, ho visto il futuro oggi, e non ne sono rimasto sbalordito.
In questa giornata ho voglia di farmi un giro di perlustrazione, come sempre, tendendo gli occhi aperti per possibili pericoli. Li terrò anche aperti, però, per cercare di non inciampare nella trappola di certa gente ingannatrice.
Esco di casa.
Un’ondata di fumo grigio mi avvolge, preparandomi per un subito successivo ritmo scandito da clacson, grida di rabbia e ruote di macchine e camion che strisciano sulla strada. Poi la luce del sole viene coperta da un autobus abbastanza alto che si ferma davanti a me, per farmi salire. Non questa volta. Non voglio commettere questo errore, comincerei male la giornata, non me la sento. Con la mia agilità salto sopra un palazzo, aiutandomi con le ragnatele che mi sono state fornite assieme alla tuta.
Percorro tutta la città dall’alto, saltando da un tetto all’altro, godendomi una nuova prospettiva.
Sono le due ed ho finito di girare. Oggi solo due piccoli furti che ho facilmente risolto. Vado a pranzare in un ristorante del centro, dove sono stato invitato.
Sono ospite di due proprietari di un’azienda piuttosto grande in questa città americana. Sulla carta dei piatti vedo principalmente prodotti a base di carne e pesce. Mi fermo. Sono bloccato, incantato, con gli occhi sbarrati che fissano il nulla da un grattacielo del cinquantesimo piano. Arriva il cameriere e, giunto il mio turno per ordinare, lasciando tutte le persone sedute al tavolo piuttosto confuse, ordino degli insetti.
Presi gli ordini, mi è stato chiesto il motivo di tale scelta, ho risposto tranquillo che tanto, in futuro, andando avanti di questo passo, tutti sarebbero stati costretti a mangiare insetti. Con lo sguardo perplesso dei due, il piatto contenente il mio ordine, è stato delicatamente posato davanti a me.
Mi sono alzato e, senza dire una parola, ho preso una di quelle piccole creature così, con no-chalance l’ho ficcata in bocca, per poi voltarmi e lasciarmi alle spalle tutta la sala da pranzo.
Passeggiando per i vicoli imperterrito, giungo ad un bacino d’acqua del quale non riesco a vedere la fine. Un blu mozzafiato e un suono dolce e costante. Il mare. Mi volto verso il basso. Sulla spiaggia c’è musica e gente che si diverte. È giusto che sia così, è agosto. Qualcos’altro, però, attira la mia attenzione. Carte, bottiglie, bicchieri e mozziconi di sigarette, il tutto semi sotterrato nella sabbia.
Senza pensarci due volte mi lancio laggiù. Siamo al crepuscolo. Ho passato le ore precedenti a pulire la spiaggia, messa in subbuglio da una serie di nemici, a cui non è ancora stato detto di esserlo.
Mi volto verso la meraviglia in cui questa città si trasforma, quando cala la sera. È forse questa la felicità? Sentirsi bene perché si è fatto qualcosa per la comunità, che potrà aiutare per il futuro?
Cerco risposta.
Mentre sono in piedi, fermo, a riflettere, un profondo senso di angoscia mi logora. Ho avuto un’idea.
Salgo sulla collina vicino all’urbe, dalla quale le luci sembrano intensificarsi. Qua vicino c’è la centrale elettrica. Ci entro e tiro il cavo, sì, proprio quello. Quello là, rosso, che controlla le luci e l’energia elettrica del posto. L’ho staccata. Pochi secondi e vedo tutto buio, illuminato come era da principio. Le stelle sopra di noi. Mi stendo sotto di esse, sento la loro protezione e, al contempo, la loro immensità. È una situazione di cui sono stanco, non posso controllarla da solo, penso.
Devo convertire più gente, scuoterla, scuoterla, scuoterla. Lo dico con il tono lento e pieno di una persona che tra pochi secondi, tornerà tra le braccia di Morfeo.
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