“Di Roma, di Napoli e d’altre cose sparse ” è la mostra che si apre oggi al MANN, il Museo archeologico nazionale di Napoli, in collaborazione con la galleria Honos Art di Roma. La mostra espone, fino al 7 maggio, i nuovi lavori di Guido Pecci, artista di Alatri formatosi a Roma e a Napoli.
In occasione della inaugurazione del tenutasi ieri, alla presenza del Direttore del MANN Paolo Giuglierini, lo abbiamo intervistato per la rubrica di arte di YShow.
Anzitutto il titolo: “ Di Roma, di Napoli e d’altre cose sparse”. Guido cosa c’è di Napoli nel tuo lavoro?
Di Napoli c’è molto. Questa mostra, che si inaugura oggi, nasce dai miei frequenti viaggi a Napoli, iniziati circa circa 12 anni fa, quando ho conosciuto Marco de Gemmis e la galleria di Franco Riccardo. In quel periodo stavo lavorando ad un’altra mostra che prendeva spunto dalla vicenda di Giulia, figlia di Augusto, esiliata a Ventotene per condotta amorale. Realizzai delle opere che ruotavano attorno ad una ipotetica dimora, una sorta di tempietto scoperto. L’idea era quella di volerci guardare dentro per scoprire ciò che vi accadeva. Da quel momento ho incominciato a lavorare sul tema dell’antico.
Che rapporto hai con l’antico e in che modo, con la tua arte, lo fai diventare attuale?
Nel mio lavoro io ho sempre avuto un forte legame con la tradizione, mi sento parte integrante di essa, e credo di non poterla più mettere da parte. La tradizione mi serve per poter guardare con maggiore consapevolezza la nostra realtà, quindi diventa quasi un filtro attraverso il quale rileggere quello che accade oggi.
Le vicende passate di Napoli, i suoi stretti rapporti con Roma, cosa rappresentano per te? Quali echi, quali suggestioni, quale ispirazione, quali motivi ricorrenti?
Io sono molto legato sia a Roma sia a Napoli, me due città che si fanno da specchio vicendevolmente. Questo confrontarsi quotidiano con l’antico, con la testimonianza del passato che ti scorre davanti agli occhi è per me uno stimolo, una sollecitazione continua. Non è però un prendere a modello l’antichità, ma un carpirne le suggestioni, che poi mi permettono di leggere il tempo attuale.
Tu sai che Roma e Napoli hanno un lungo passato comune. Napoli è stata l’unica città sottomessa da Roma che dopo la conquista ha mantenuto la propria lingua e le proprie tradizioni. Era rispettata, vissuta come la propria madrepatria dai romani, custode e avamposto di grecità. La madre.
Il discorso sulla madre è molto vicino a me. Tra l’altro in una mia precedente esposizione definivo Roma e Napoli come due madri immense e terribili.
Perché terribili?
Perché questa loro grandezza, questa loro dimensione sconfinata, provoca un grande timore. Le madri accolgono, ma questa loro grandezza incute un senso quasi di terrore.
E questo come lo hai trasferito nel tuo lavoro?
Questo sentire forse l’ho meglio trasferito in questa grande tela dove c’è una sorta di maschera senza occhi che a me personalmente incute molto timore e mi dà un senso di celato, di nascosto, che lascia in uno stato di profonda soggezione, di ambiguità e di mistero. Questa grande palla di argilla poi, al suo fianco, con questi rami conficcati nello sguardo, diventa un elemento che va a rafforzare questa percezione di ambiguità, mistero e inquietudine. L’artista Guido Pecci con i due curatori Marco de Gemmis e Loredana Rea.
Si nota qui un forte rapporto tra i rami e la figura umana, quindi tra il corpo ed il paesaggio. Un motivo ricorrente nella tua Arte. In che modo questo rapporto viene indagato e che cosa rappresenta per te il paesaggio?
Il paesaggio è un altro elemento molto importante nella mia poetica e rappresenta una estensione. Io lavoro molto su questi due temi: il paesaggio e la figura umana, che sono per me due temi interscambiabili perché la figura umana diventa paesaggio e viceversa dei frammenti di roccia o dei rami diventano quasi un prolungamento della figura umana.
Quasi come avviene nel gruppo scultoreo di Dafne e Apollo di Lorenzo Bernini.
Sì, non ci avevo mai pensato….
Chi guarda un’opera d’arte scopre verità sull’artista che neanche lui conosce su di sé….. Che cosa rappresentano quindi per te i Miti e la Storia? Con i quali è evidente nella tua opera un dialogo costante.
La storia è un grande bacino dal quale attingere. Con consapevolezza però, la consapevolezza del presente. Non si può oggi essere un artista consapevole se non si conosce quello che è accaduto nel passato. Perché uno dei grandi fraintendimenti dell’arte contemporanea è quello di voler produrre il nuovo a tutti i costi, dimenticando che c’è un passato del quale dover tenere conto. Spesso si compiono grandi errori perché questa ricerca del nuovo a tutti i costi porta poi alla realizzazione di un prodotto che a volte è più vecchio del vecchio.
E quindi che cosa rappresenta per te un Museo?
Il Museo è un grande contenitore dal quale attingere spunti e suggestioni. E’ in fondo come Roma e Napoli una grande madre…che accoglie al suo interno ma come tutte le grandi madri…….
Incute timore……. Che rappresenta per te questa mostra?
E’ un punto di approdo importante. Con Marco de Gemmis e Loredana Rea, i due curatori, l’abbiamo pensata e meditata a lungo. Ora sta seguendo un suo percorso. La prima tappa è stata Roma all’interno di una galleria con la quale io collaboro da anni, Honos art, che si trova nel cuore della città, nel ghetto ebraico, a ridosso del portico di Ottavia. A diretto contatto con l’antichità. La seconda è qui a Napoli, al MANN. In autunno si sposterà verso la fondazione Mastroianni, in Arpino, che tra l’altro è la città di Cicerone.
di Teresa Tauro