Nanotecnologie, fisica, intelligenza artificiale e nanomedicina: “C’è un sacco di spazio, in fondo”

C’è un sacco di spazio … in fondo.

Il genio di Feynman e il mondo del miliardesimo di metro

Fu il fisico Richard Feynman, nel 1959, a sostenere l’idea che “there’s plenty of room at the bottom” (c’è un sacco di spazio, in fondo). Il futuro premio Nobel, che riceverà nel 1965, ad un meeting dell’American Physical Society, tenutosi al Caltech, appunto nel dicembre del 1959, descrisse un processo attraverso cui è possibile manipolare singoli atomi e molecole “sviluppando una serie di strumenti in scala ridotta rispetto a quelli che possono trovarsi in un negozio di utensileria”.

Gli strumenti da “utensileria”  così creati, secondo Feynman, sarebbero stati utilizzati, poi, per controllare la generazione successiva di utensili, in scala uno a cento, e così via. Nella visione di Feynman, al diminuire della dimensione “sarebbe stato necessario ridisegnare alcuni utensili a causa del fatto che il rapporto tra le varie forze sarebbe cambiato”.  Ad esempio, la forza di gravità avrebbe lasciato il posto alla tensione superficiale o alle forze di van der Waals, che sono rilevanti nella descrizione del livello molecolare.

Il mondo dell’infinitamente piccolo di Feynman

Il diametro di un globulo rosso è 8 micron e quello di un capello circa 70 micron, circa 10 volte maggiore. Studiare oggetti di dimensioni inferiori al micron, o micrometro (un milionesimo di metro), è il compito delle nanotecnologie che, di norma, si occupano di oggetti la cui dimensione è dell’ordine del nanometro (un miliardesimo di metro).

Kim Eric Drexler, scienziato e visionario 

Nel 1986, il giovane scienziato americano Eric Drexler ripropone le nanotecnologie nel suo libro Engines of Creation: The Coming Era of Nanotechnology. Alla fine della sua prefazione al libro di Drexler, Marvin Minsky, uno dei fondatori dell’intelligenza artificiale, sostiene che il lavoro di Drexler è “il miglior tentativo mai presentato e così dotato di lungimiranza, per prepararci a pensare a quel che potremmo diventare se dovessimo persistere nel creare nuove tecnologie”.

John von Neumann e la macchina auto-replicante

Engines of creation di Drexler parla dell’auto-replicazione, un concetto introdotto, fra gli altri, dal matematico John von Neumann, uno degli padri dei moderni calcolatori. In realtà, l’obiettivo di von Neumann era specificare le caratteristiche di una macchina astratta che, una volta eseguita, avrebbe potuto replicarsi. In breve, una macchina auto-replicante, sia essa composta di software, hardware o materiale biologico, ha l’abilità di raccogliere energia e materie prime, elaborarle nei suoi componenti finali, per poi assemblare questi ultimi in una copia di se stessa. Un esempio è la cellula vivente, a tutti gli effetti una macchina auto-replicante: l’ambiente della cellula infatti contiene elementi e composti chimici usati sia per il suo meccanismo sia per fare una copia di se stessa. Così come un programma per computer che, quando è eseguito, produce il suo stesso codice.

La nanomedicina

Fra le svariate applicazioni dell’idea di macchina auto-replicanteà la Drexler o à la von Neumann, c’è la realizzazione di “robot molecolari”  utili agli esseri umani in applicazioni nel campo medico, un’area di indagine conosciuta anche come nanomedicina. Le nanotecnologie molecolari nelle applicazioni biomediche possono essere utili, ad esempio, per rendere più efficace l’uso di un farmaco chemioterapico, permettendone la distribuzione delle sue molecole solo nelle parti del corpo del paziente dove è necessario farlo. Quello della medicina è solo uno dei campi di applicazione delle nanotecnologie sulle quali si sta investendo molto, e non solo economicamente.

Non mancano nel dibattito, tuttavia, autorevoli voci che richiamano l’attenzione degli addetti ai lavori. Già nella citata prefazione al libro di Drexler, Marvin Minsky, proprio per rispondere alla domanda posta dall’autore “che cosa potremmo costruire con questo meccanismo di accatastamento d’atomi?”, lo scienziato del  Massachusetts Institute of Technology sostiene che “per prima cosa, potremmo fabbricare macchine assemblatrici persino molto più piccole delle cellule viventi, e fabbricare materiali più forti e più leggeri di qualsiasi altro materiale attualmente disponibile” e, poco più avanti, “e potremmo anche fabbricare macchine tanto piccole da avere la dimensione di un virus, macchine che lavorerebbero a velocità che nessuno di noi può ancora pienamente apprezzare”.

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