Fabio Giobbe, in arte “Giobbe”, è un esempio di passione viva e vera nei confronti della musica. Il cantautore di origini napoletane, continua a percorrere un sentiero bello e affascinante, che lo sta portando lontano grazie ai suoi progetti. Lo abbiamo intervistato per saperne di più sulla sua concezione dei talent, di musica e di un suo nuovo disco in arrivo.
Giobbe, puoi raccontare ai fans che seguono il nostro sito, gli inizi della tua carriera da musicista?
Ho cominciato relativamente tardi. Prima di far parte di una band avevo solo strimpellato e canticchiato da autodidatta, in cameretta, rubando un po’ di rudimenti di chitarra da mio fratello maggiore. A 20 anni circa sono entrato nella mia prima band, i “Sir Psycho Sexy”.
Come tutti, in cantina, abbiamo cominciato facendo cover dei gruppi che ascoltavamo: Pearl Jam, Red Hot Chili Peppers, Soundgarden, Tool, e tanta altra musica degli anni ’90. Dopo pochissimo, però, abbiamo cominciato a scrivere le nostre prime canzoni. Da lì in poi non ho più smesso. “Carriera” e “Musicista”, comunque, restano due paroloni nel mio caso.
Con i The Disappearing One, hai calcato palchi importanti, ma siete sempre stati legati alla dimensione del Club. È da quei posti che sta nascendo una musica nuova? Rappresentano una valida alternativa ai talent oltre che una buona gavetta?
Vado da sempre nei club ad ascoltare musica, ancora prima di aver cominciato a suonare. Onestamente non la vedo questa rinascita, anzi. Vedo club storici chiudere, altri avere molte difficoltà nel proporre musica originale ed indipendente. E’ un periodo di grosse contraddizioni: concerti di nomi importanti che vanno sold out in pochi minuti, mentre i club che propongono concerti dal vivo, in cui spesso si entra addirittura gratis, fanno difficoltà a riempire pochi metri quadri. Anche il concetto di “gavetta” ormai sembra scomparso. Sbucano dal nulla gruppi o artisti che in un lampo diventano notissimi, per poi in altrettanto poco tempo scomparire (grazie a Dio, aggiungerei, spesso!). Ma non si sa da dove vengano fuori. A volte hanno all’attivo un paio di concerti e qualche canzone neanche mai incisa. Non a caso dal vivo poi, molto spesso, deludono. E le loro foto, i loro video e le loro recensioni comprate valgono più di come mettono le mani sullo strumento o di quanto spendono in strumentazione e ricerca del suono. Ormai pare che alla gente interessi poco della Musica e moltissimo del contorno, del “fumo” che c’è intorno. Io credo sia sempre una questione culturale. Se la cultura imperante è quella dei talent, allora non può che esserci un pubblico così poco attento e dai gusti facilmente pilotabili.
Sempre con i The Disappearing One, hai collaborato in passato con The Niro (Davide Combusti, ndr), in un pezzo che anticipava l’uscita dell’album omonimo “The Disappearing One”. Ci spieghi come è nata questa collaborazione e cosa vuol significare il brano ‘’Once he left to the Province?’’
“Once He Left to the Province” parla di mio Padre, del suo trasferimento dalla grande città natia, Napoli, alla provincia di Caserta, a Capua, e di tutto quello che ha comportato tale scelta. E’ una canzone che parla di come alcune persone, mio padre in questo caso, siano un esempio ed una fonte di ispirazione senza esserne neanche consapevoli. La collaborazione con Davide nacque dopo aver aperto un paio di suoi concerti nel Casertano. Ci siamo trovati su stesse lunghezze d’onda, ed è nata un’amicizia basata sulla stima dei rispettivi approcci alla musica. Fu naturale chiedergli di duettare. Lui accettò volentieri, insegnandoci tanto, non solo dal punto di vista musicale, ma principalmente dal lato umano. Una grande persona, oltre che un Artista di livello superiore.
La tua esperienza da solista è partita con l’album ‘’About Places”. Dodici brani cantati in lingua inglese di puro folk – rock, in una cornice splendida che ti porta a viaggiare con la testa. Non a caso, questo disco rievoca le immagini dei posti dove sei stato: Dublino, Salamanca, per poi finire alla tua Capua. Cosa ti è piaciuto di più in questo viaggio?
Sono molto legato a Capua, cittadina di provincia bellissima ma trascurata, in cui sono cresciuto e dove non ho parenti, ma Amici ed affetti veri. Ho vissuto un’infanzia ed un’adolescenza meravigliose, in un parco di periferia, con tanto verde, alberi di noci, campi di calcio un po’ improvvisati e la libertà di poter giocare per strada senza troppi pericoli. Anche tutto questo è finito nel mio primo disco da solista, in cui volevo racchiudere un po’ tutte le sensazioni ed esperienze che i luoghi di cui parlo mi hanno regalato. Non saprei dire cosa mi è piaciuto di più in questo viaggio ideale che è stato “About Places”. Essendo il primo disco da solista mi è piaciuto molto rivivere ancora una volta tutta l’emozione di una “prima volta”. Ad una certa età ormai le prime volte sono sempre più rare e, quindi, preziose.
Ora hai dei nuovi progetti in uscita?
A settembre scorso è uscito il secondo disco dei “This is not a Brothel”, band di cui faccio parte da qualche anno. Inoltre sto ultimando il mio secondo disco, sempre con la collaborazione dell’etichetta indipendente “I Make Records”. Siamo in fase di mix delle tracce. Resta solo da valutare la data di pubblicazione, che dovrebbe essere nella prima metà del 2018.
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