Fortunatamente la mia infanzia non è stata accompagnata da una grande conoscenza o utilizzo della tecnologia. Dico “fortunatamente” perché ritengo che rappresenti più un limite che una necessità, specialmente in questi ultimi anni.
Crescendo si è sempre più visto questo attaccamento graduale verso dispositivi elettronici, in particolare telefoni e computer, visto che macchine fotografiche, tv, ferri da stiro, lavatrici e forni venivano già molto usati.
Un giorno, nella scuola primaria, verso il quarto anno, i miei parenti mi regalarono un telefonino, un Nokia rosso. Mi piaceva moltissimo, benché non sapessi bene come funzionasse. Con quell’oggetto si poteva fare solo ciò per cui il telefono è stato inventato: chiamare e giocare a qualche giochino che ora sarebbe definito “fuori moda“.
Ma al tempo mi sentivo molto alla moda, sebbene fosse il vecchio telefono di mio nonno. Non lo usavo granché, solo per chiamare i miei genitori e/o nonni. In fondo, per amici e sconosciuti, c’era sempre il telefono fisso: quel misterioso oggetto presente in ogni casa, che ogni tanto pensava bene di voler far sobbalzare chiunque fosse nelle vicinanze, solo per avvertire di una chiamata.
Per scoprire il chiamante, c’era solo un display con scritto un numero di telefono, perciò l’unica cosa che si potesse fare era rispondere. C’erano scritti su un foglio laterale tutti i numeri che ci potessero far comodo.
Così si rimaneva per ore al telefono con amici, o ci si allarmava per l’arrivo di una chiamata importante.
Questo era il sistema: niente Instagram, Facebook o Tik Tok, niente miriade di giochini inutili che sono solo un pretesto per stare più tempo al cellulare, niente musica, internet.
Verso gli undici anni tutte le mie amiche cominciarono a ricevere come regali dei cellulari di cui non avevo mai sentito parlare, il più in voga era l’iPhone 5. Così, quando mio padre mi chiese cosa volessi per il compleanno, ebbi la geniale idea e fermezza di dire “un iPhone“, pur non sapendo che differenza ci fosse con il mio indistruttibile Nokia. Perciò, seguendo la massa, me lo feci comprare.
Dopo pochissimo tempo e una profonda analisi, a discapito della mia vista, capii la differenza. Venivano utilizzati per molte più funzioni, di cui continuavo a non vedere la necessità. Poco dopo scaricai Instagram, quando ancora era un’applicazione solo per postare foto e scriversi con amici.
Dopo Instagram venne Tik Tok, all’epoca ancora chiamato Musical.ly, molto poco conosciuto. Con la perenne presenza di giochini inutili, scaricai, poi, Snapchat e Facebook, che rimane tuttora inutilizzato. Da un po’ di tempo mi sono fatta un’idea personale su ciò che è il telefono per me.
In sé non è nulla di male, è come quel vecchio Nokia, ma reso più facile da utilizzare, senza tastini e schermi minuscoli, più facile da distruggere, e quindi da cambiare, mettendo in moto, così, un certo mercato per cui più compri, più soldi metti in circolazione.
Sempre secondo questa regola commerciale, un telefono viene usato più spesso, perciò più messo a rischio caduta, rottura, quando ci sono piattaforme divertenti su cui scriversi con amici o giocare. Penso che il mio rapporto con la tecnologia possa essere definito così. Avendo la consapevolezza di cos’è e come funzioni, lo uso, a volte tanto, forse troppo.
“Se tutti lo usano e non gli succede nulla posso farlo anch’io“, questo è il pensiero di molti, senza pensare che siamo tutti diversi, nel modo di pensare, agire, confrontarci al mondo e reagire.
Finché il telefono rimase legato al filo, l’uomo rimase libero, indipendente.
Questa frase mi ha fatto particolarmente riflettere.
C’è da dire che la tecnologia presenta molti lati positivi, come la possibilità di conoscere gente nuova, tenersi in contatto con amici, scoprire posti nuovi tramite foto postate, in generale comunicare e avere la possibilità di presentare sé stessi.
Ognuno di questi, però, può presentare un limite. Infatti conoscere gente nuova è possibile, ma nulla ci dice che tutte le persone abbiano buone intenzioni, i trend di Tik Tok possono creare dipendenza, si può cominciare a comunicare con gli amici parlando con dei meme, o non essere più capaci di comunicare dal vivo, si può essere vittime di cyberbullismo, presentare un sé stesso falso e costruito, abbassare l’autostima della gente a causa dei filtri Instagram che nascondono quello che siamo, ci si possono creare pregiudizi su luoghi o persone che abbiamo visto solo in foto, e per quanto ne sappiamo, potrebbero essere state modificate. La più banale, però, è quella di perderci ciò che ci sta attorno, mentre la vita scorre. Perderci la vita.
Penso che, se c’è una cosa che auguro alle future generazioni, è quella, per una volta, di tornare indietro, a quando i social venivano usati solo come modo di comunicare ancora di più con gli amici che già si conoscevano, anche senza vedersi.
Ovviamente questa, come molte generazioni passate, ha i suoi problemi. Questa volta, però, riguardano tutti, allo stesso modo.
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