Joker: la Recensione Psicologica del Film di Todd Phillips

Prima di Bruce Wayne, prima di Batman, prima di quella Gotham che già conosciamo, c’è la Gotham che ha forgiato il cavaliere oscuro, la stessa che ha forgiato Joker. Una lotta interiore, una risata amara, un dolore nascosto, saranno il preludio di tragedia, saranno le fondamenta di un’identità maturata nella sofferenza rimasta ovattata sotto il trucco da clown.

Joker: la Recensione del Film di Todd Phillips

Non c’è un’ideologia politica di fondo che lo incoraggia, non c’è fame di potere o di denaro che lo spinge, ma una chimera di riscatto sociale, un desiderio di “esistere”, il miraggio di non essere invisibile agli occhi della gente. Arthur Fleck, esaltato da un’interpretazione superba di Joaquin Phoenix, è un Travis Bickle (protagonista di Taxi Driver) moderno, inadatto a vivere nel mondo che lo circonda, masticato e sputato dalla società, riscaldato da una fievole fiamma di un mondo equo nella gelida ingiustizia umana.

Prima del cattivo c’è l’uomo, in un’opera che legittima, precorre, spiega. Joker è la forza, la risata amara, il grido della disperazione, la barzelletta che spiazza, il dito che preme il grilletto, la discesa negli inferi della psiche, la resurrezione nell’acclamazione della follia, un danza su una scalinata mentre tutto il mondo brucia.

Contributo di Filomeno Napolitano (Sigarette Red Apple)

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