La città fondata dalla matematica, la Napoli Pitagorica: la racconta Teresa Tauro

Teresa Tauro, architetto e autrice di grandi restauri nella città Partenopea, racconta in questa intervista a YShow la “Napoli Pitagorica”. Per anni filosofi, archeologi, storici e matematici si son chiesti se ci fosse un preciso disegno geometrico di matrice pitagorica 2500 anni fa all’origine della nascita di Napoli.

Salve Dottoressa Tauro. So che ha fatto lunghi studi sulla forma della Città di Napoli. Ci dice da quando, come e perché si è interessata di questo argomento.

Mi sono interessata da quando ho iniziato a rilevare brandelli delle Mura Greche della Città. Quasi venti anni fa. Poi mi sono incuriosita e allora ho incominciato a studiare le fonti storiche e a chiedermi i “Perché?”. Perchè gli antichi fondatori decidono di fondare una nuova Città che chiamano Nea – Polis? Perché non ampliano semplicemente l’antica Parthenope? Nuova Città implica novità essenziali nella sua costruzione. Sono queste novità che volevo ricercare. Agevolata dal fatto che Napoli ha la particolarità, quasi unica, di aver conservato nel suo tessuto urbano l’impianto originaro della città antica con le sue 3 plateiai da est a ovest e i circa 20 stenopoi da nord a sud che, intersecantisi tra loro formano blocchi di isolati rettangolari con i lati proporzionali 1/5 che misurano 35/37 mt x 180/185 mt. Le fonti storiche sono tutte concordi nell’affermare che i due insediamenti facevano parte di una unica “Urbe”, anche se Neapolis viene fondata come se fosse una Città distinta, su un altro territorio e ha delle Mura di difesa completamente indipendenti rispetto a Parthenope. Le origini mitiche di Neapolis sono perciò connesse anch’esse alla mitica figura della Sirena Parthenope. Unica città della storia greca ad essere fondata nel territorio della madre patria. La fondazione della città è stata retrodata all’ultimo quarto del VI s.a.C. dagli studiosi, e questo mi ha portato a considerare che è stata fondata in piena Megale Hellàs e in un periodo storico in cui operavano Pitagora e i suoi seguaci, sempre poco considerati (almeno fino al Libro “Pitagora” di Alfonso Mele del 2013) dalla storiografia moderna, per via della sua provenienza “Aristocratica” e non “Democratica”, del suo lobbismo e delle sue valenze religiose (metempsicosi ecc. ecc).”

Ma di tutte queste sue ricerche c’è traccia negli studi storici?

Sì certamente, addirittura uno studio accurato di Hamberg (del 1965) si ipotizza che la Città di Napoli sia stata presa a modello addirittura da Vitruvio per descrivere nel Libro Primo del “De Architettura” la sua Città Ideale,  la quale doveva avere determinate caratteristiche tutte riscontrate in Neapolis: orientata secondo la Rosa dei Venti ad Est-Nord Est per usufruire della igienica brezza mattutina del vento Levante/Grecale. Hamberg trova riscontri nei disegni che Frà Giocondo fa proprio per illustrare la Città Ideale di Vitruvio nella edizione veneziana del 1511. Altri riscontri si trovano nella volontà di don Ferdinando d’Aragona di ampliare la Città di Napoli prolungando in linea retta le Plataeiai e gli Stenopoi, dando maggiore visibilità ad una idea di armonia e proporzione della Città di Napoli che negli anni dell’Umanesimo doveva essere profondamente sentita nei circoli culturali cittadini più importanti dell’epoca. Queste tracce, visibili nelle rappresentazioni della città dal cinquecento, almeno fino all’ottocento, sono quasi sparite negli ultimi due secoli di studi della Città. Con l’avvento del materialismo storico e quindi di studi più attenti all’archeologia e allo studio dei reperti materiali (senza ovviamente nulla togliere al grande impulso che questi studi hanno dato alla conoscenza e i risultati eccezionali che l’Archeologia Stratigrafica, lo studio dei materiali e l’Archeologia Urbana hanno apportato), si è data molta più importanza ai segni materiali, particolari, rispetto al generale, e “all’Idea di Città”, come è evidentissimo dalle mappe della Città antica elaborate nell’ultimo secolo dagli studiosi iniziando dalla pianta di B. Capasso e finendo alle ultime mappe elaborate dagli archeologi.

Durante gli scavi della metropolitana di Napoli sono stati rinvenuti numerosi reperti archeologici attribuibili a diverse epoche della città partenopea, collocabili nell’epoca preistorica, greca, romana, bizantina, medievale e aragonese. È stato rinvenuto qualche reperto utile per le sue ricerche?

In realtà la scoperta più interessante per me è stata fatta durante i lavori della Telecom negli anni ’80 quando, durante un saggio di scavo, in via Pietro Colletta, è stata definitivamente datata la Murazione di fondazione della Città, retrodatandola di almeno 50 anni per cui dal 470 a.C. si è passati al 520 circa a. C. Già a Sant’Aniello a Caponapoli, in precedenza, nello scavo condotto da Bruno D’Agostino, era stata ritrovata una testina di Demetra di età arcaica. Era stato, però, un ritrovamento singolo che aveva bisogno di conferme che sono venute durante gli scavi, prima della Telecom, poi della Metropolitana. Gli scavi della Metropolitana hanno confermato la retrodatazione, e questo è molto importante. In più, tra le tante notizie, gli scavi della Metropolitana ci hanno restituito la linea di costa antica e il porto greco/romano a ridosso di piazza Municipio dove sono state ritrovate le ormai famose tre barche romane. In piazza Nicola Amore è stato invece ritrovato il tempio isolimpico edificato da Augusto nel 2 d.C., il Gymnasium, destinato ai giochi olimpici, ad imitazione di quello di Olimpia in Grecia edificato sopra un tempio greco di IV s.a.C., costruito forse in onore di Parthenope e adibito a funzioni sacre delle quali sono rimaste tracce ancora tutte da decifrare. Lo scavo ha restituito più di 500 frammenti  che riportano i nomi dei vincitori dei giochi, la loro provenienza e le specialità nelle quali avevano concorso. Questa iscrizione è la più importante ritrovata in tutto il mondo antico. Un’ iscrizione ad Olimpia riporta proprio il regolamento dei giochi Isolimpici napoletani.

Vedo che al centro della Città nella pianta di Bartolomeo Capasso allegata al suo libro “La Città di Napoli nell’XI secolo” è disegnato il Tempio dei Dioscuri. Cosa rappresentano i Dioscuri per Napoli?

I Dioscuri sono sempre stati molto venerati a Napoli. Tantissime sono le attestazioni di questa venerazione. Addirittura Stazio nelle “Silvae” li nomina, nel Panteon cittadino, come divinità patrie della Città, insieme ad Apollo e Demetra. Tuttavia, nonostante tutte queste attestazioni, mancava fino ad oggi una prova concreta della loro importanza. Apollo, non c’è nessun dubbio, guidò i Coloni dalla Grecia nell’Italia meridionale. Di Demetra sappiamo (dal ritrovamento di una stipe nel 1933, durante i lavori di consolidamento delle fondazioni del convento di San Gaudioso), che a lei era dedicato il Santuario della Città, localizzato sulla collina di Sant’Aniello a Caponapoli. Dei Tindaridi invece non si sapeva perché fossero così tanto venerati a Napoli, con tutte le leggende legate all’uovo di Leda, a Virgilio Mago, a Castel dell’Ovo, (fino al titolo di una fortunata serie di articoli di Del Tufo sul Mattito intitolati proprio “L’Uovo di Virgilio”),   fino a quando questo mio studio non ha trovato una prova inconfutabile del perché di tanta venerazione, scoprendo che la posizione di questo tempio è centrale rispetto al circolo di fondazione, all’agorà e al grande quadrato centrale alla Città e che, a saper guardare, è evidentissimo nel tessuto urbano, come si vede dalle foto aeree.

Quali sono quindi le considerazioni sulla forma della Città di Napoli?

Che, intanto, la sua forma, nel suo insieme, non è stata più studiata negli ultimi due secoli per dare sempre più importanza al singolo reperto, al singolo ritrovamento (le barche di Piazza Municipio, l’importante iscrizione del 2 d.C. sui giochi Isolimpici instituiti in onore di Augusto, ritrovata in piazza Nicola Amore durante i lavori della stazione della Metropolitana, la nuova linea di costa antica, rintracciata e ricostruita ma che non ha generato una nuova visione della Città e questo, se da un lato ha accresciuto la conoscenza scientifica, dall’altro ha fatto perdere di vista la visione di insieme.”

E qual è la visione d’insieme?

Che la Città di Napoli è iscritta in un circolo di fondazione con l’agorà al centro di un grande quadrato centrale, con al centro il tempio dei Dioscuri. Che, inoltre, è stata fondata come un Ologramma o un Frattale: la parte sua più piccola, la casa, che potremmo chiamare la cellula generativa della Città, ha la stessa forma della Città, è un quadrato. Studiando i rapporti armonici e proporzionali impressi materialmente nella struttura urbanistica della Città abbiamo scoperto che il Quadrato centrale è in rapporto armonico con la Porta Furcillensis che rappresenta l’uscita/entrata principale dalla Città perché posizionata in rapporto aureo con il lato del quadrato e che via San Biagio dei Librai, che parte dalla collina di San Martino, per dirigersi verso Est, da dove gli antichi fondatori traguardarono la valle sottostante e dove decisero di fondare la nuova Città. E’ il suo Asse parametrico principale di costruzione. Una città armonica e proporzionale quindi, che segue i nuovi principi pitagorici, con al centro l’agorà e le strade che si dirigono verso il centro, non in maniera concentrica, ma rettilinea, come i raggi di una stella (che sono appunto rettilinei). Da qui si capisce meglio anche il famosissimo, controverso, passo di Aristofane negli “Uccelli”.

Ma nelle fonti storiche c’è un riferimento preciso a Pitagora in rapporto alla Città di Napoli?

No, assolutamente, non confondiamo le idee. Chiariamo subito questo concetto che è fondamentale per non creare ambiguità: Pitagora non ha fondato nessuna Città antica. Non è un “costruttore di Città”. Non è legato direttamente a nessuna fondazione. Pitagora non c’entra nulla con la fondazione di Neapolis. Per quello che ne sappiamo. C’è solo un riferimento letterario su una scuola Pitagorica a Napoli nel celebre libro di Carlo Celano del 1692  “ Notizie del Bello, dell’Antico e del Curioso della Città di Napoli  per gli Signori forastieri“  ristampato nel 2000 – Edizioni dell’Anticaglia – a cura di Giovanni Battista Chiarini, dove nel vol. I a pag. 295 si legge:

” Di Forcella, avanti l’atrio della chiesa oggi detta di S. Maria a Piazza. Nel rifarsi  la  chiesa  vi  fu il Seggio  di essa  incorporato. Fu chiamato Forcella perchè quivi vogliono che fosse la scuola di  Pitagora  che  per impresa  aveva la  lettera  Y,  e che  questa fosse la  particolare  insegna  del  Seggio,  come  vedesi scolpita  in   un antico marmo sulla porta  di  detta  chiesa ,  e sotto  della quale  i  nobili di esso fecero incidere  quel  celebre  motto :  Ad  bene  agendum nati sumus; e che dopo la sua  demolizione  fu  adattato  sul fregio della porta minore di S.  Agrippino.  Era  non  molto  lungi dalla  porta  Forcellense  oggi delta Nolana”. 

Figura assai controversa, quella di Pitagora, con una esperienza politica fallimentare ma con una forza dirompente in tanti campi del sapere, primo fra tutti nel campo matematico. Il motto “tutto è numero” è riferito a lui e alla sua scuola. Noi parliamo sempre e solo di “humus pitagorico”, di clima culturale del tempo. Il clima della fine del VI s.a.C. nell’Italia meridionale è ben descritto nel libro di Alfonso Mele del 2013 “Pitagora. Filosofo e Maestro di verità” e nell’articolo di Piero Lo Sardo pubblicato nel libro a cura di Emanuele Greco “Le Città Greche antiche.” Non c’è nulla di “esoterico” qui. C’è solo, ed è già tantissimo, la fondazione di una Città nuova che si basa su nuovi concetti matematici, di armonia e proporzione.

Nel tessuto urbano della Città di Napoli qual è il luogo che le suscita più richiami rispetto a questi suoi studi?

Sicuramente la collina di San Martino dalla quale gli antichi fondatori guardarono il pianoro sottostante e tracciarono l’asse parametrico della Città detta oggi “Spaccanapoli”.”

Italo Calvino nelle “Città invisibili” affronta un tema molto attuale, in quanto si legge la volontà di opporsi a un declino dello spirito delle città. Oggi questo declino è dovuto un pò al ridimensionamento delle comunità, a causa dello sviluppo tecnologico e dei nuovi mezzi di comunicazione. La “Napoli Pitagorica” in che modo può aiutare la città di Napoli a riaffermare una identità urbana e quindi a creare nuove comunità?

Facendo conoscere ai suoi abitanti, e soprattutto alle giovani generazioni, la propria Storia, l’origine della propria Città, le sue vicissitudini, come fa anche il bel libro di Marco Perillo, “ 101 Perché sulla Stiria di Napoli che non puoi non sapere”. Proprio come si fa nelle famiglie dove i racconti degli Avi contribuiscono a creare più forti legami tra i membri di una stessa famiglia. Considerare la Città come la propria casa, il luogo dove ritrovare i propri affetti, la propria origine, i propri progenitori. Dalla quale andar via nel “grande” mondo per conoscere e crescere, per poter poi ritornare, arricchiti, e ripartire, e ancora ritornare.”

In un certo senso è più semplice istruire i turisti sull’identità urbana di Napoli. Ha idee su come coinvolgere i napoletani per riaffermare i legami comunitari?

“Sì, bisogna coinvolgere le giovani generazioni con i nuovi mezzi di informazione facendoli appassionare alla propria Storia. Qualcosa si può fare anche con i Progetti Scuola-Lavoro che è un obiettivo che si è data l’Associazione “Napoli Pitagorica”.”

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